mercoledì 30 gennaio 2013

Il culto di Priapo attraverso le varie civiltà dal mito al Cristianesimo

INNO A PRIAPO (Anonimo Vaticano)

"Salve Priapo, Padre fecondo, di orti custode, violatore.
Ti invoco, rubizzo, dissipatore, spermatico
Tu che semini la vita.
Defloratore, sgomento di vergini, igneo, fallopodo,
fugatore di ladri e di uccelli, signore del fico, magmatico.
Vieni a noi, possiedici col calore del tuo fuoco, dacci l’ardore
che ti pervade, o comburente.
Svela i misteri del fallo nascosti dal ricurvo falcetto,
ambidestro, flagello di cinedi. Irrumatore,
rostro marino, muto, ematico, signore dell’asino,
vieni ai nostri santi spasmi.
Signore dell’Orgia, sacrifica i nostri atti, vivifica le nostre menti
Osceno, Itifallo, Iectatore, Salvatore!"




IL PRIAPO GRECO

Priapo è un personaggio della mitologia greca, figlio di Dioniso e di Afrodite, per altri di Afrodite ed Ermes, o Ares, o Adone o Zeus. Hera, gelosa del marito, si sarebbe vendicata dando al bimbo un aspetto grottesco ed un enorme fallo.

Il culto di Priapo risale ai tempi di Alessandro Magno, proveniente dall'Ellesponto o dalla Propontide, simbolo della forza sessuale maschile e la fertilità della natura. Fu cacciato dall'Olimpo perchè incontenibile. Da ubriaco infatti tentò di stuprare la Dea Vesta. Anche l'asino, simbolo di lussuria, gli ragliò contro per farlo scappare.

Capirai, di abusi con le Dee ce n'erano diversi, da Efesto che tentò di farsi Athena, Plutone che si fece Persefone, Zeus su Meti ecc. Ma allora qual'era la causa vera? Forse perchè Priapo rappresentava l'eros selvaggio, istintivo, quello che la mente razionale aveva fatto tanta fatica a dominare, non solo come sesso indiscriminato, ma pure come libertà di percepire i propri sentimenti, come quello verso la donna che fu un istinto fortemente represso sia in Grecia che a Roma, soprattutto in età repubblicana. Non dimentichiamo che pure il saggio Aristotele soteneva che il principio generativo risiedesse esclusivamente nell’uomo. Le donne erano secondo lui sterili, accoglievano il seme maschile ma non partecipavano alla fecondazione.

Il suo animale era l'asino, per l'importanza che aveva nella vita contadina, e per l'analogia dei membri smisurati. Narra il mito che Priapo insidiasse la ninfa Lotide dormiente, ma il ragliare di un asino svegliò la ninfa impedendo l'accoppiamento. Difficile che la ninfa avesse un sonno così pesante da non accorgersi dell'amplesso. Ma il mito sostiene che il Dio, per vendetta, pretendesse il sacrificio annuale di un asino. In realtà l'animale sacrificato rappresentava un aspetto della stessa divinità nei tempi più antichi. Insomma era un Dio molto orgoglioso del suo sesso:

"La massima piacevolezza del mio pisello,
è che nessuna donna gli è mai troppo larga."

Pertanto Priapo è istinto ma un po' distorto da una ebbrezza di potenza virile: l'ipervalutazione del fallo. In questa euforia il culto fu ricollegato ai riti e alle orge dionisiache, che erano ebbrezza della natura non del sesso, o non nel potere del sesso, ma in quanto espressione della natura, quindi un potere impersonale. Il fatto però che il Dio fosse così brutto e deforme riduceva il lato sacrale riportandolo a livello terreno e non più aulico. Il suo culto era associato al mondo agricolo ed alla protezione delle greggi, dei pesci, delle api, degli orti. Spesso infatti, cippi di forma fallica venivano usati a delimitare gli agri di terra coltivabile. Tradizione proseguita nonostante il cristianesimo.
Ancora oggi troviamo cippi fallici in Italia, nelle campagne di Sardegna, Puglia e Basilicata o nelle zone interne di Spagna, Grecia e Macedonia.
Amato dalle donne come propiziatore di fertilità, il Dio fu poi per questo esiliato da Lampsasco, sua città natale, per volere dei mariti gelosi. Gli Dei intervennero rendendo impotenti i maschi della città, così Priapo venne richiamato e venerato come Dio dei giardini, per allontanare ladri e malocchio, e propiziare la fecondità dell'orto.

Nelle Falloforie, feste in onore di Dioniso e poi di Priapo, fu collegato ai riti e alle orge dionisiache.

« Ritiratevi, fate posto
al dio! perché egli vuole
enorme, retto, turgido,
procedere nel mezzo. »

Nelle falloforie propiziatorie del raccolto, molto diffuse nel mondo agricolo dell'antica Grecia e poi in Italia e nei territori dominati dai Romani, le processioni con il fallo terminavano con una pioggia di acqua mista a miele e succo d'uva, indirizzata verso i campi, che rappresentava l'eiaculazione del seme origine della vita e quindi propiziava l'abbondanza del raccolto.


Plutarco (De cupiditate divitiarum) ne descrive una processione in campagna:

« in testa venivano portati un'anfora piena di vino misto a miele e un ramo di vite, poi c'era un uomo che trascinava un caprone per il sacrificio, seguito da uno con un cesto di fichi e infine le vergini portavano un fallo con cui venivano irrigati i campi. »

Ma il caprone venne sostituito con l'asino, che veniva sacrificato ogni anno, per volere dello stesso Priapo. Il Dio stava insidiando la ninfa Lotide dormiente, ma il ragliare di un asino svegliò la ninfa impedendo il fatto. Caspita, altrimenti non se ne sarebbe accorta? Ma si sa che i culti antichi sacrificavano proprio l'animale totem, il più sacro.



IL PRIAPO ROMANO

Il culto di Priapo si diffuse in Italia intorno al III secolo a.c. come augurale per la fertilità dei campi, mescolandosi a Pan, Dioniso, Luperco e Fauno. Inuo-Priapo si manifestava benigno ogni anno, intorno al 10 di Agosto, con una pioggia del suo seme fecondatore dal cielo, a garanzia di un ricco raccolto per l'anno successivo. Questo sciame meteorico annuale, è oggi noto come "lacrime di San Lorenzo".
Curiosamente i luoghi connessi con il culto arcaico di Inuo, Priapo, Pan e Fauno, presentano anche una prossimità con il toponimo "Lorenzo" e con una antica chiesa dedicata a San Lorenzo. Forse l'associazione è arcaica, infatti la divinità etrusca, poi acquisita dai Romani, Acca Larentia, un tempo Madre Terra, poi sacra prostituta protettrice dei plebei e della fertilità dei campi, era assimilata proprio a Fauno e Lupesco, quasi a costituirne la controparte femminile. Da Larentia a s. Lorenzo il passo è breve. accolto dai pastori che nel gran fallo del piccolo Dio vedevano auspici per la fertilità dei campi. Nell'arte romana fu spesso raffigurato in affreschi e mosaici, soprattutto all'entrata delle abitazioni patrizie. Il suo membro era un amuleto contro invidia e malocchio, e in più portava fertilità alle donne. Il fallo priapeo era per questo un monile da portare al collo o al braccio. Le patrizie romane, prima del matrimonio, facevano una preghiera a Priapo, perchè rendesse piacevole la prima notte di nozze.

I Romani erano soliti collocare in orti e campi simulacri della divinità, cui riconoscevano doti apotropaiche e di protezione contro gli uccelli. Alla base della connessione tra la festa di Piedigrotta e il culto pagano vi è la pratica di festini erotici settembrini che si ritenevano svolti anticamente nella grotta romana, al ritmo di canti e danze oscene intorno al simulacro del Dio. Nel 'Satyricon', Petronio riferisce di una grotta con un’ara dedicata a Priapo: la 'Neapolitana ubi sacellum Priapi et sacra abdita'. Qui il giovane Eucolpio, perseguitato dal Dio che lo aveva privato della virilità, si ritrova coinvolto in un avventuroso viaggio in Italia meridionale, con unl’incontro orgiastico e salvifico con la sacerdotessa Quartilla, che lo libera dalla maledizione.

E Priapo è capace di cogliere tutto lo splendore di una natura vivificata dalla fecondazione e dalla fioritura:
«Per me le corolle di fiori in primavera,
per me le bionde spighe nel sole dell’estate,
per me i dolci grappoli dell’uva che matura,
per me la glauca oliva formatasi nel freddo».

Ma si pasticciò non poco col quotidiano contadino, con la protezione delle greggi, dei pesci, delle api, degli orti, ripescando anche il Dio Termine. Spesso infatti, cippi di forma fallica venivano usati a delimitare gli agri di terra coltivabile.

A Roma Priapo si confuse con il Dio locale Mutinus Tutunus, Dio fallico latino, protettore di orti e giardini, della navigazione, della pesca e delle api, nonché degli amori licenziosi e innaturali, ma pure con Pan, Luperco e pure Faunus.



Il cristianesimo seppellì Priapo e la sessualità. 
Tutto ciò che era attinente alla carne e ai sensi era peccato. Tertulliano (150-220 d.c.) disse che durante l'orgasmo l'uomo perde, udite udite, una parte dell'anima, insomma fare sesso conduce all'inferno.
Con il cattolicesimo il fallo da divinità diventa demone: il pene, per Anselmo d'Aosta è la "verga del diavolo". Nessun organo, diceva sant'Agostino, è più corrotto del pene. Così nel Rinascimento papa Paolo IV fece coprire gli attributi maschili a eletti e dannati nella Cappella Sistina di Michelangelo. Perchè spesso le religioni esprimono la follia del mondo.



(da un post dell'utente Mordicchio sul forum Liberalibido liberamente tratto da romanoimpero.com)



 
CARMINA PRIAPEA
testo latino con traduzione in lingua italiana di Edoardo Mori

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